IL PRETORE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nel procedimento penale n.
 225/1995 p.d. contro Bergadani Giuseppina nata Lainate (Milano) il 12
 aprile 1942 e residente in Asti via Guerra 27 difesa dall'avv.   Aldo
 Mirate  di  Asti,  imputata  del reato di cui agli artt. 572, 62 n. 5
 c.p., perche' colpendola quotidianamente con  pugni  al  volto  e  in
 varie  parti  del corpo, maltrattava la figlia Bergadani Simona.  Con
 l'aggravante di aver profittato di circostanze di  persona  (soggetto
 oligofrenico)  tali  da  ostacolare  la  privata  difesa. In Asti dal
 gennaio 1993.
   Letti gli atti del procedimento;
   Rilevato che,  a  seguito  dell'esposizione  introduttiva  e  delle
 richieste  di  prova,  il  p.m. prospettava questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 496 comma quarto c.p.p.  per  contrasto  con
 l'art. 3 Cost.
                             O s s e r v a
   La  questione proposta a questo pretore appare rilevante al fine di
 definire  il  presente  procedimento  in  quanto  elemento  di  prova
 fondamentale   al   fine  di  dimostrare  la  penale  responsabilita'
 dell'odierna imputata risulta essere la testimonianza  della  persona
 offesa  che,  nella  specie,  e'  una  ragazza maggiorenne affetta da
 oligofrenia congenita.
   La particolare natura del reato per cui si procede ed  il  rapporto
 che lega la persona offesa all'imputata (figlia e madre) fanno si che
 emerga  chiaramente l'esigenza di procedere all'esame della prima con
 peculiari cautele.
   In effetti, nonostante la menomazione psichica della persona offesa
 non vi e' dubbio che, ai sensi dell'art. 196 c.p.p., la stessa  abbia
 astrattamente la capacita' di deporre.
   Il  problema  che si pone e' pero' quello di accertare se la stessa
 sia in grado di fornire una testimonianza attendibile e quindi  utile
 ai fini probatori.
   Al  riguardo  il  secondo comma dell'art. 196 c.p.p. stabilisce che
 "qualora, al fine di valutare le  dichiarazioni  del  testimone,  sia
 necessario   verificarne  l'idoneita'  fisica  o  mentale  a  rendere
 testimonianza,  il  giudice  anche  d'ufficio   puo'   ordinare   gli
 accertamenti  opportuni  con  i  mezzi consentiti dalla legge" con un
 chiaro riferimento, nel caso di presunta inidoneita'  psichica,  alla
 perizia psichiatrica.
   Cio'  che  tuttavia  il  sistema  normativo  non prevede, una volta
 accertata in concreto  l'idoneita'  del  teste  affetto  da  disturbi
 psichici  a  rendere  la  propria  deposizione,  sono le modalita' di
 assunzione della prova essendo la disposizione dell'art.  196  c.p.p.
 dettata,   come   testualmente  disposto,  al  fine  di  valutare  le
 dichiarazioni del teste e presupponendo pertanto che l'escussione sia
 gia' stata esperita.
   Al  riguardo  si  rileva  che,  relativamente  alle  modalita'   di
 assunzione  della  prova testimoniale, il sistema codicistico vigente
 all'art.   498,  comma  quarto,  c.p.p.  prevede  (in  attuazione  di
 un'esplicita  previsione  della  legge  delega)  per  il teste minore
 d'eta' non solo che l'esame sia condotto dal presidente (pretore)  ma
 soprattutto   che  questi,  per  condurre  l'esame,  possa  avvalersi
 dell'assistenza di un  famigliare  o  di  un  esperto  in  psicologia
 infantile.
   E'  chiaro  che questa disposizione mira proprio sia a garantire un
 efficace controllo sull'attendibilita' del minore, sia a  scongiurare
 i  rischi di un condizionamento del teste ad opera di una delle parti
 in causa, sia, in ultima analisi, a tutelare la persona del minore di
 fronte alla  intrinseca  tensione  scaturente  da  ogni  dibattimento
 penale.
   Il  problema  dell'applicabilita'  della disposizione denunciata al
 caso del teste maggiorenne ma  incapace  di  intendere  e  di  volere
 appare a chi scrive non risolvibile in via interpretativa.
   In  effetti,  se presupposto della disposizione di cui all'art. 498
 terzo comma c.p.p. e' la (presunta dal legislatore)  incapacita'  del
 teste  minorenne  ritenuto,  per  detta  causa, piu' fragile rispetto
 all'adulto  di  fronte  all'esame  incrociato  condotto  dalle  parti
 caratterizzato da un grado di aggressivita' fisiologicamente maggiore
 rispetto   all'esame   condotto  dal  giudice,  tuttavia  la  dizione
 tassativa della norma non sembra lasciar  spazio  ad  interpretazioni
 integrative volte ad allargarne l'applicabilita' al teste maggiorenne
 e purtuttavia incapace per difetto di mente.
   Innanzitutto,   se  e'  vero  che  il  nostro  sistema  prevede  la
 possibilita' di dare ingresso in dibattimento anche a prove  atipiche
 purche'  le  stesse  non  infrangano  i  limiti sanciti dall'art. 189
 c.p.p., e' pero' altrettanto vero che la disposizione si riferisce  a
 mezzi  di  prova  non  disciplinati  dalla  legge  e  non a modalita'
 atipiche di assunzione di un mezzo di prova codificato  come  appunto
 nel caso qui esaminato.
   In  secondo  luogo, il superamento in via interpretativa del tenore
 letterale della disposizione considerata verrebbe in qualche  modo  a
 turbare  l'intangibile  parita'  tra  le  parti,  posto  che la parte
 controinteressata rispetto a quella che ha richiesto la citazione del
 teste  potrebbe  avere  tutto  l'interesse  a  sfruttare  la   lacuna
 normativa  onde  far  emergere,  in  sede  di  controesame,  tutte le
 presumibili incertezze e titubanze in cui potrebbe incorrere, per  la
 sua  stessa patologica fragilita', la persona incapace per difetto di
 mente.
   A  questo  proposito,  si  puo'  rilevare  come,  nel  procedimento
 pretorile,  sia  previsto  si'  in  linea generale che, come accadeva
 sotto il vigore del  codice  abrogato,  possa  essere  il  pretore  a
 condurre  l'esame dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e
 delle parti private,  ma  attualmente  cio'  puo'  avvenire  soltanto
 sull'accordo  delle  parti  (art.  567  comma  quarto c.p.p.) quasi a
 sottolineare l'interesse insormontabile che ciascuna parte puo' avere
 ad avvalersi del modo di escussione  ordinario  improntato  all'esame
 incrociato.
   Appare  pertanto  condivisibile  la  censura  prospettata  dal p.m.
 secondo la quale la disposizione dell'art.  498  comma  terzo  c.p.p.
 nella  parte  in  cui  non  equipara  la  posizione dell'incapace per
 infermita' mentale a quella del minore  violerebbe  l'art.  3  Cost.,
 prevedendo   un   trattamento   normativo  dissimile  per  situazioni
 sostanzialmente analoghe. Si e' gia' posto  in  luce  come  la  ratio
 della disposizione censurata possa ravvisarsi nella considerazione da
 parte  del  legislatore  della posizione del minore come connotata da
 una maggior fragilita' e partanto bisognosa di una serie  di  cautele
 allorquando  lo  stesso  sia  chiamato  a  partecipare in qualita' di
 testimone ad un processo penale.
   Tale considerazione, che non puo' che trovare il proprio fondamento
 nell'incapacita' legale del minore, vale, a  parere  di  chi  scrive,
 anche  per  il teste maggiorenne incapace per difetto di mente per il
 quale si puo' realisticamente sostenere che, al pari se non piu'  del
 minore,  presenti una situazione psicologica di debolezza (ancor piu'
 evidente  allorquando  e'  persona   offesa   dal   reato)   che   ne
 consiglierebbe l'esame da parte del presidente (o del pretore secondo
 i  casi)  con l'eventuale ausilio di un famigliare o di un esperto di
 psicologia.
   L'ordinamento  penale  sostanziale  e  processuale  offre,  d'altra
 parte,  numerosi  esempi  a  favore  di tale equiparazione: quanto al
 primo settore, si pensi  agli  artt.  121  e  153  c.p.  in  tema  di
 esercizio  del  diritto  di  querela  e  di  remissione della querela
 sporta; nel secondo settore si pensi all'art. 77 c.p.p.  in  tema  di
 costituzione di parte civile.
   Alla  luce  delle  suesposte considerazioni si ritiene pertanto non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 prospettata dal p.m.